Con la legge 19 novembre 2021, n. 165 è stato convertito con modificazioni il DL 127/2021 che impone il green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro. Di seguito analizzeremo le modifiche apportate al testo normativo.

Tra le novità più eclatanti previste dalla legge, rientra la facoltà del lavoratore di consegnare copia del proprio certificato verde al datore di lavoro (o chi per esso), al fine di snellire i controlli quotidiani.

Tale previsione presenta non poche criticità, specie in punto privacy nonostante la segnalazione del Garante per la protezione dei dati personali, di fatto ignorata dal legislatore.

Novità più significative

Idonea informativa

All’art. 9-quinquies, comma 5, oltre alle mere rettifiche di carattere formale, sono stati inseriti alcuni periodi.

Il primo degno di nota concerne la circostanza per la quale i datori di lavoro sono tenuti a fornire “…idonea informativa ai lavoratori e alle rispettive rappresentanze circa la predisposizione delle nuove modalità organizzative adottate per le verifiche di cui al comma 4”.

D’altronde non potrebbe essere diversamente, considerato che qualsivoglia modifica a livello organizzativo debba essere portata alla conoscenza di tutti, nel modo più adeguato possibile, raggiungendo lo scopo.

Consegna di copia del Green Pass

In ottica di (presunta) semplificazione, al comma 5, è stato inserito anche che “…i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”.

In prativa, viene data una possibilità non contemplata prima che, in realtà, si pone in evidente contrasto con quanto sempre sostenuto in ordine agli impatti privacy.

Scadenza del Green Pass durante la prestazione lavorativa

Con l’art. 3-bis – rubricato “Scadenza delle certificazioni verdi COVID-19 in corso di prestazione lavorativa – viene disposto che “per i lavoratori dipendenti pubblici e privati la scadenza della validità della certificazione verde COVID-19 in corso di prestazione lavorativa non dà luogo alle sanzioni previste, rispettivamente, dagli art. 9-quinquies, commi 7 e 8, e 9-septies, commi 8 e 9. In questo caso la permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro è consentita esclusivamente per il tempo necessario a portare a termine il turno di lavoro”.

Campagne di sensibilizzazione sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro

L’art. 4-bis, inserito nella legge di conversione per garantire il più elevato livello di copertura vaccinale, al solo fine di proteggere i soggetti a rischio fino alla data di cessazione dello stato di emergenza, invita tutti i datori di lavoro (sia pubblici che privati) a promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione sulla necessità nonché importanza della vaccinazione.

Ciò è volto alla tutela della salute dei dipendenti e al contrasto e al contenimento della diffusione dell’infezione negli ambienti di lavoro.

Come cambia il Green Pass in azienda: gli impatti

Gli impatti che la consegna eventuale, a discrezione del dipendente, di copia del proprio Green Pass può determinare nell’organizzazione aziendale in ambito privacy sono molteplici.

Problemi

Al comma 5 dell’art. 1 è stato aggiunto un periodo in virtù del quale, onde semplificare le verifiche del possesso di Green Pass, con riferimento ai lavoratori di aziende private, essi possono fare richiesta di consegnare al proprio datore di lavoro copia della certificazione verde. In tale circostanza, ne consegue che tali lavoratori sarebbero esonerati dai controlli quotidiani.

Tuttavia, se da un lato ciò semplificherebbe il controllo, dall’altro potrebbe creare (principalmente in grandi contesti), discriminazioni tra gli uni e gli altri lavoratori. Non solo, potrebbe determinare complicanze anche in termini di gestione, per tutti i certificati da tampone.

Adempimenti

L’azienda – a prescindere dalle dimensioni – qualora decidesse di accettare la conservazione dei Green Pass dei dipendenti, dovrà effettuare una serie di adempimenti, come:

  • redazione di idonea informativa;
  • effettuazione di valutazione dei rischi, se non anche di impatto;
  • predisposizione di un registro ad hoc;
  • aggiornamento dei registri delle attività di trattamento, oltre a tutto l’apparato documentale pedissequo e pertinente.

Conclusioni

Le modifiche apportate in fase di conversione, dunque, creano onerose complicazioni operative ed attenuano lo scopo protettivo del Green Pass, violando i principi del GDPR.

Almeno quattro sono le criticità riscontrate dal Garante privacy:

  1. la prevista esenzione dai controlli – in caso di validità di Green Pass – potrebbe rischiare di determinare una sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema delle certificazioni verdi, segnalando indirettamente a tutti la condizione che non viene aggiornata in caso di mutamento di condizione del dipendente;
  2. la conservazione del dato contrasterebbe con il Considerando 48 del Regolamento UE 2021/953 che vieta espressamente la conservazione del dato stesso. Senza contare che dal lato operativo/organizzativo la conservazione dei certificati imporrebbe l’adozione, da parte datoriale, di misure tecniche ed organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento;
  3. la conoscenza del dato e quindi il relativo trattamento dovrebbe essere assolutamente preclusa al datore di lavoro dal momento che la conoscenza di peculiari condizioni soggettive dei lavoratori risulterebbe poco compatibile con le tutele previste tanto dalla disciplina di protezione dati, quanto vieppiù dalla normativa giuslavoristica (ex art. 88 Reg. UE 2016/679; d.lgs. 196/2003; 5 e 8 L. 300/1970; 10 d.lgs. 276/2003);
  4. il possibile inquadramento/raccolta di presunto consenso implicito fornito dal lavoratore nel caso in cui costui decidesse di consegnare copia della certificazione verde, non potendo questa, tuttavia, ritenersi legittima “sulla base di un presunto consenso implicito del lavoratore che la consegni, ritenendo il diritto sottesovi pienamente disponibile. Dal punto di vista della protezione dei dati personali (e, dunque, ai fini della legittimità del relativo trattamento), il consenso in ambito lavorativo non può, infatti, ritenersi un idoneo presupposto di liceità, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso”. Di dubbia legittimità si palesa, dunque, una manifestazione di volontà liberamente espressa, come la disciplina sul consenso tassativamente impone.
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